Durata: 4 ore
La visita inizia da Palazzo Reale centro di comando dei Savoia e prosegue nell'Armeria Reale, con la sua splendida collezione di armi e armature. Si arriva nella Cappella della Sindone, mirabile architettura barocca progettata da Guarino Guarini. Si prosegue nella Galleria Sabauda che conserva grandi capolavori, da van Eyck a Rubens e van Dyck, da Mantegna, a Paolo Veronese, a Orazio Gentileschi, a Guido Reni nonché due importanti collezioni: quella di pittura fiamminga e olandese del Principe Eugenio di Savoia-Soissons e quella del finanziere Riccardo Gualino. Il piano terreno è arricchito dalla sezione dedicata alla pittura del Rinascimento in Piemonte e dalla Galleria Archeologica. Sull’area archeologica del Teatro Romano si affaccia il Museo di Antichità che conserva reperti provenienti da scavi condotti sul territorio piemontese. Infine, i Giardini Reali, con un’estensione di sette ettari, rappresentano il cuore verde del complesso museale e sono liberamente accessibili.
Durata: 3 ore
Il mito nella decorazione e nelle collezioni del museo. La visita inizia da Palazzo Reale, centro di comando dei Savoia, e prosegue nell'Armeria Reale, nella Galleria Sabauda e nel Museo di Antichità alla ricerca delle rappresentazioni mitologiche nelle collezioni dei Musei Reali. Scarica la mappa con il percorso suggerito e goditi le meravigliose bellezze dei Musei Reali!
Il terzo piano della Galleria Sabauda ospita la collezione di ceramiche Lenci, 132 opere donate da Giuseppe e Gabriella Ferrero che rappresentano una straordinaria possibilità di arricchimento delle collezioni e di apertura sulla storia di Torino tra le due guerre. L’esposizione, infatti, valorizza la raccolta di opere del Novecento della Galleria Sabauda che conta oltre cento opere tra dipinti, sculture, disegni, acqueforti e litografie che rappresentano gli esiti dell’attività degli artisti piemontesi emergenti.
Il percorso che prevede una cadenza tematica suddivisa in dieci settori, modulati da vetrine per le ceramiche e da pannelli su cui sono allestiti i dipinti: la donna moderna, la donna ideale, la donna reale, il tempo - le stagioni, innamorati, scene di vita, miti e storie, il mondo nel vaso, in scena, la fiaba e le maschere, animali. Gli apparati didascalici presenti illustrano la storia di Torino tra le due guerre e quella della manifattura Lenci, con approfondimenti sulle tecniche, sull’organizzazione della fabbrica e sui destini dei singoli artisti; QR code danno accesso alla versione dei testi in lingua inglese e francese. Il percorso è inoltre arricchito da pannelli multisensoriali e da riproduzioni tattili di alcune ceramiche esposte, per consentire la fruizione da parte delle persone con disabilità percettiva.
Le armature B. 53 e B. 54 vennero donate a Vittorio Emanuele II dall’imperatore del Giappone Meiji nel 1869 e nel 1871, a pochi anni di distanza dalla firma del trattato di amicizia e commercio tra il Regno d’Italia e l’Impero giapponese. Si trattava di doni prestigiosi, destinati a personaggi di rango elevato, come testimoniano i materiali preziosi con cui le armature sono state realizzate a la cura nell’esecuzione delle due opere.
Favorito era il cavallo prediletto di Carlo Alberto, cavalcato dal sovrano nella battaglia di Novara del 1849 e portato con lui in esilio ad Oporto. Dopo la morte del re venne ricondotto in patria e alloggiato nelle scuderie di Venaria Reale. Nel 1867 lo scultore Giovanni Tamone fu incaricato di eseguire, su disegno di Stanislao Grimaldi, una scultura in legno, che ne riproducesse le fattezze e sostenesse la sella montata dal re nella battaglia di Novara. Favorito fa parte della collezione di quindici cavalli scolpiti in legno e rivestiti di pelle equina, realizzati a partire dagli anni trenta dell’Ottocento per l’allestimento dell’Armeria Reale. Concepiti come manichini destinati ad indossare le barde e a sostenere i cavalieri, si distinguono per il naturalismo con cui sono riproposte le pose e i tratti tipici delle diverse razze.
Attraversata la galleria si giunge alla Rotonda Palagiana che espone armi ottocentesche, come la spada cinta da Napoleone Bonaparte durante la campagna d’Egitto e nella battaglia di Marengo, nonché una selezione di armi orientali, tra cui le due armature giapponesi donate dall’imperatore Meiji. Da qui si apre la loggia dalla quale Carlo Alberto annunciò l’inizio della prima guerra d’Indipendenza, che gode di un affaccio privilegiato su Piazza Castello.
In passato si pensava che la spada fosse appartenuta a San Maurizio, soldato della legione Tebea, vissuto nel III secolo e martirizzato ad Agauno, in Svizzera. Si tratta, in realtà, di una spada medievale in ottimo stato conservativo, databile, per la forma della lama e dell’impugnatura, alla prima metà del XIII secolo.
Lo scudo proviene dalla collezione del principe Eugenio di Savoia Soissons. Al centro cinque medaglioni, legati da una banda che prosegue sul bordo, raccontano le vicende di Giugurta, re di Numidia, e del conflitto che lo oppose ai romani (112-105 a.C.). Nella placca più grande, è rappresentata la vittoria di Mario sul re africano. Lo spazio rimanente è occupato da telamoni, figure all’antica, maschere grottesche, trofei d’armi e prigioni.
Questo morso, attribuito ad un’officina di Limoges, rappresenta uno degli esemplari più raffinati tra i finimenti da cavallo presenti nelle raccolte del museo. L’elegante decorazione in smalto documenta il legame matrimoniale tra due importanti famiglie italiane presenti a Napoli, presso la corte angioina, tra il 1304 e il 1340: gli Acciaiuoli e i Grimaldi.
Questa stupefacente galleria espone le opere più preziose provenienti dalle collezioni di armi e armature antiche raccolte dai Savoia lungo i secoli. Progettato a inizio Settecento da Filippo Juvarra e successivamente rimaneggiato da Benedetto Alfieri, l’ambiente ospitava anticamente i dipinti delle collezioni d’arte oggi esposti nelle sale della Galleria Sabauda. I riquadri della volta, realizzata nel 1738 dal pittore di corte Claudio Francesco Beaumont, rappresentano Le Storie di Enea mentre le sculture allegoriche alle estremità della galleria sono opera dei fratelli Ignazio e Filippo Collino.
Piccolo ambiente quadrato creato nel 1836 da Carlo Alberto, ristrutturando l’antico Gabinetto dei fiori dell’Appartamento della Regina. Il progetto di rinnovamento fu affidato a Pelagio Palagi e rispecchia pienamente i canoni del neoclassicismo, dai riquadri dipinti sulla volta, con allegorie che richiamano le arti e le scienze, al pregiato arredo realizzato per contenere i circa 30.000 esemplari tra monete, medaglie e sigilli.
Nella Corte d’Onore, a piano terreno, il Caffè Reale occupa gli ambienti un tempo destinati all’Ufficio di Frutteria, un deposito delle porcellane trasformato a fine Ottocento in magazzino della frutta. All’interno dei grandi armadi a parete trovano posto cristalli, porcellane, vetri e argenti dalle collezioni di Palazzo Reale.
Collocate nel piano interrato, offrono uno spaccato della vita quotidiana a corte e si dividono tra le Cucine del Re, Vittorio Emanuele III, e quelle del Principe di Piemonte, futuro Umberto II. La ghiacciaia era destinata alla conservazione del cibo che veniva preparato, cucinato e scenograficamente impiattato nelle grandi sale voltate, tra il calore delle stufe in ghisa e il trambusto della “brigata di cucina”.
L’insieme prende il nome dal titolo del figlio primogenito del Re di Savoia, destinato a succedergli al trono. A partire dal Settecento è stato più volte allestito, secondo il gusto del tempo, in occasione delle nozze dei diversi principi ereditari fino a Umberto e Maria José del Belgio, sposi nel 1930. Le sale conservano traccia dei diversi architetti attivi a corte, arredi, arazzi, sculture e dipinti realizzati tra il Seicento e il Novecento.
Sala blu
Sala di Udienza per Maria José, prende il nome dal colore dei tessuti d’arredo come l’attigua Sala rossa, entrambe comprese nell’appartamento delle principesse consorti, decorato nell’Ottocento in stile tardo neoclassico da Palagi. Al suo interno, un piccolo trono, il divano circolare e la Tavola magnifica, intarsiata in avorio dall’ebanista Gabriele Capello.
Destinato a ospitare il secondogenito del re e la sua consorte, si sviluppa nell’ala di levante verso i giardini e comprende numerose sale. Nel tempo, l’appartamento ha conservato le decorazioni e l’impronta raffinata dell’intervento degli architetti Giuseppe Battista Piacenza e Carlo Randoni, che vi lavorano per le nozze di Vittorio Emanuele e Maria Teresa d’Asburgo-Este, sposi nel 1789.
Sala Gialla verso il Giardino
Utilizzata come Camera da Letto dalla Duchessa d’Aosta, conserva l’aspetto tardo settecentesco ed è decorata con ornati in legno dell’ebanista Francesco Bolgié. Al centro della volta, Giuseppe Paladino dipinge Venere incoronata di fiori che riceve l’offerta delle primizie delle ninfe della Gioventù.
Tra le antiche raccolte del Regio Museo di Antichità si distingue la collezione egizia di Bernardino Drovetti, diplomatico in Egitto per conto della Francia, acquistata nel 1824 da Carlo Felice di Savoia ed esposta a Torino nella sede dell’Accademia delle Scienze. Il nucleo comprende alcune statue in marmo, oltre ad iscrizioni in caratteri greci, e più di 3000 monete di età tolemaica e romana.
Sezione dedicata al nucleo più antico delle collezioni d’arte e archeologia, espone reperti provenienti dalla Mesopotamia, statue greche e romane, vasellame greco, elementi funerari etruschi e fenici.
Il Museo di Antichità conserva alcune iscrizioni puniche provenienti da Cartagine e una in caratteri fenici, appartenuta alla città di Kition, oggi Larnaka (Cipro). Un altro gruppo di reperti proviene dalla Sardegna, in particolare da Sulcis (attuale Sant’Antioco) e da Tharros (Oristano), grazie agli scavi promossi da Carlo Alberto tra 1838 e 1842. Dal territorio di San Nicolò Gerrei (località Santuiaci, Cagliari) proviene infine un’eccezionale iscrizione in bronzo trilingue (punico, greco, latino).
Sala dedicata al periodo romano, con manufatti e opere che spaziano tra sacro e vita quotidiana. Di grande interesse risultano una raccolta di bronzetti di divinità, una grande statua di Minerva proveniente dall’Egitto e una riproduzione ottocentesca in gesso dei Fasti Praenestini, un calendario inciso su marmo rinvenuto in frammenti nel 1770 e nel 1864 a Praeneste (Palestrina).
La galleria delle sculture richiama idealmente la Grande Galleria di Carlo Emanuele I. Vi sono esposte sculture di divinità e personificazioni, per lo più copie romane di originali greci, teste di dei, personaggi illustri e ritratti di ignoti cittadini romani, rilievi provenienti dal collezionismo sabaudo. I ritratti di imperatori sono riuniti nell'esedra, mentre al fondo spicca la statua colossale di imperatore loricato proveniente da Susa.
Queste prime due sale fanno da introduzione alle altre della Galleria e raccontano la storia delle raccolte archeologiche, delle campagne di scavo avvenute nei secoli scorsi e la nascita delle prime collezioni. Oltre ad alcuni pezzi della collezione sono presenti contenuti multimediali che raccontano le vicende.
Affacciato sul giardino di levante, ha sempre avuto carattere privato. Progettato a fine Seicento per il primogenito maschio del duca Vittorio Amedeo II, ha ospitato diverse principesse tra le quali, dal 1789, Maria Felicita, sorella nubile di Vittorio Amedeo III. Prende il nome dall’ultima regina che vi soggiornò. Conserva un’elegante Sala da Bagno, realizzata a fine Ottocento, che preannuncia lo stile Liberty.
Sala di Parata
Preceduta da quattro piccole anticamere, conserva gli stucchi e la splendida volta con l’Allegoria dei Quattro Elementi, dipinta a inizio Settecento dal pittore Daniel Seiter. L’ambiente fu trasformato in Sala da pranzo a fine Ottocento e oggi ospita una tavola allestita con porcellane provenienti dalle più importanti manifatture europee.
Affacciato sulla piazzetta reale, è posto al piano terreno, con accesso dalla Corte d’Onore, e si compone di cinque ambienti rimaneggiati nel corso dei secoli. Al suo interno di trovano decorazioni ottocentesche, dipinti, arredi, sculture di pregio e due diverse sale da bagno: la più antica conserva la vasca interrata nel pavimento in legno.
Sala della Piglia
L’ambiente deve il suo nome al grande pilastro collocato al centro. Lungo le pareti è collocata un’intera collezione di acquerelli realizzati da Giuseppe Pietro Bagetti: la serie delle Battaglie commissionata da Vittorio Emanuele I, con preziose vedute topografiche, e quella più romantica dei Paesaggi, voluta da Carlo Felice.
Progettato da Filippo Juvarra nel Settecento per ospitare i Regi Archivi, fu completato da Benedetto Alfieri e adibito a foresteria per i visitatori di rango durante il regno di Carlo Alberto, con l’intervento di Pelagio Palagi. Comprende la Galleria delle Battaglie con Il Trionfo della Pace dipinto sulla volta da Claudio Francesco Beaumont nel 1747.
Gli appartamenti del primo piano nobile erano riservati ai regnanti. In origine, prima delle trasformazioni volute da Carlo Alberto di Savoia-Carignano nel primo Ottocento, gli ambienti verso la piazza erano destinati al Re e quelli verso la corte alla Regina ed erano strutturati secondo una sequenza che prevedeva, in successione, le anticamere, le sale di rappresentanza e le stanze private, oggi solo in parte conservata. Il percorso prende avvio dagli ambienti affacciati sulla piazza, con le tre anticamere dove, secondo il cerimoniale di corte, si restava in attesa prima di accedere al cospetto del Re.
Creato nel Seicento come Appartamento Invernale, due secoli dopo diventa della Regina per Maria Teresa d’Asburgo Lorena, moglie di Carlo Alberto, inglobando anche parte dell’Appartamento d’Estate. Comprende sette lussuose sale con dipinti e pregevoli arredi, opera dell’ebanista Pietro Piffetti.
Gabinetto del Segreto Maneggio degli Affari di Stato
Progettato da Filippo Juvarra per Carlo Emanuele III di Savoia negli anni Trenta del Settecento, conserva capolavori di ebanisteria con inserti in avorio, madreperla, tartaruga, oro e argento, realizzati da Piffetti. L’annesso Pregadio, con inginocchiatoio di Luigi Prinotto, completa il raffinato insieme.
Progettato da Filippo Juvarra per Carlo Emanuele III di Savoia negli anni Trenta del Settecento, conserva capolavori di ebanisteria con inserti in avorio, madreperla, tartaruga, oro e argento, realizzati da Piffetti. L’annesso Pregadio, con inginocchiatoio di Luigi Prinotto, completa il raffinato insieme.
Al centro dell'Armeria Reale è esposta un'elegante armatura decorata con un motivo a soli in oro che ricoprono ogni elemento della guarnitura. Realizzata all’inizio del Seicento per il Principe Emanuele Filiberto di Savoia, ha subito nel corso del tempo alcune integrazioni, tra le quali ricordiamo l’intervento del 1876, durante il quale numerosi soli sono stati aggiunti sulla superficie. La guarnitura delle collezioni sabaude si inserisce tra le più raffinate opere realizzate nella bottega dell’armoraro Orazio Calino.
In questa sala dominano la scena quattro dipinti di Francesco Solimena, protagonista della transizione dal Barocco al Rococò.
Ne la Cacciata di Eliodoro dal Tempio la cultura architettonica e scenografica si fonde con un impeto drammatico che raccoglie l’eredità delle diverse stagioni del ‘600 napoletano. I quattro dipinti furono commissionati da Vittorio Amedeo II intorno al 1720. In quegli anni, il sovrano, re di Sicilia prima, re di Sardegna poi, stava dando una nuova forma alla città con la direzione artistica dell’architetto Filippo Juvarra.
Questa stupefacente galleria espone le opere più preziose provenienti dalle collezioni di armi e armature antiche raccolte dai Savoia lungo i secoli. L'Armeria Reale fu aperta al pubblico nel 1832 per volontà di Carlo Alberto e conserva ancora oggi la scenograficità del suo primo allestimento.
Questa parure di fucili venne realizzata nel 1650 dagli artisti delle botteghe tedesche di Monaco, in occasione delle nozze celebrate tra Ferdinando Maria di Wittelsbach, figlio del duca di Baviera Massimiliano I, e Enrichetta Adelaide di Savoia, sorella del duca Carlo Emanuele II.
Le armature vennero donate a Vittorio Emanuele II dall'imperatore del Giappone Meiji nel 1869 e nel 1871, a pochi anni di distanza dalla firma del trattato di amicizia e commercio tra il Regno d'Italia e l'Impero giapponese.
In queste sale sono esposti manufatti che ci consentono di conoscere meglio la civiltà etrusca fin dai suoi albori (X-IX secolo a.C.). Si tratta sostanzialmente di corredi funerari che permettono di ricostruire aspetti della vita quotidiana, ma anche le relazioni culturali, soprattutto con il mondo Greco. Queste ultime si riconoscono nelle caratteristiche di diverse tipologie di vasi, mentre il raffinatissimo bucchero, di cui abbiamo splendidi esemplari, come il foculo corredato di vasellame in miniatura, è la più tipica produzione etrusca. Oltre a un’ampia selezione di urne cinerarie, rappresentativa, delle varie tipologie di raffigurazione policroma, la sezione si conclude con la sala dedicata alla Tomba della famiglia dei Matausni, con al centro il grande sarcofago della capostipite.
Gli oggetti di ceramica sono uno strumento prezioso per comprendere la società, il costume e la religione dei greci. I vasi esposti documentano l'evoluzione tecnica e decorativa delle produzioni greche, e permettono di approfondire attraverso forme e immagini, il vivere quotidiano, usi e consuetudini. Particolare attenzione merita lo psykter, uno speciale vaso per raffreddare il vino, firmato da Euthymides, artista figlio dello scultore Pollias, pioniere della tecnica a figure rosse e attivo nel tardo VI secolo a.C.
Su una grande parete è esposta una buona parte delle 800 tavolette cuneiformi che rappresentano la più importante collezione di questo tipo di oggetti in Italia. Nella stessa sale sono presenti mattoni dei sovrani Ur-Nammu, Sennacherib e Nabucodonosor, mentre nella seconda sala, tra i rilievi dei grandi palazzi di Khorsabad e NInive, spicca il ritratto di Sargon II donato insieme al ritratto di un dignitario da Paolo Emilio Botta, tra i primi scopritori della civiltà assira.
L’atrio della Manica Nuova ospita da un lato le sculture di Marte, Mercurio, Cerere e Flora, opere dei fratelli Filippo e Ignazio Collino, realizzate nel 1793 per l’arredo del Palazzo Reale. Dall’altro, proprio all’ingresso della Galleria Archeologica, due grandi statue romane provenienti da Susa, raffiguranti due generali della famiglia imperiale che indossano la lorica, l’armatura di rappresentanza finemente decorata.
Vasellame ceramico e vitreo, opere di statuaria in pietra e in argilla, iscrizioni e gioielli documentano la storia e la cultura multietnica dell'isola di Afrodite per più di tre millenni con approndimenti sui commerci, sui culti e la sfera femminile. La storia delle collezioni è raccontata insieme alle figure dei donatori, tra cui spicca Luigi Palma di Cesnola, primo direttore del Metropolitan Museum di New York.
Costituisce la parte più antica dei Giardini: l'impianto primitivo risale al secondo Cinquecento e si deve al duca Emanuele Filiberto, che lo realizzò secondo i canoni del giardino all'italiana.
Le serre dei Giardini Reali, spesso citate come Orangerie o Citroniere, dominano i Giardini Bassi con la vasta struttura dotata di grandi finestre. Qui venivano ricoverate durante l'inverno le casse con le piante di agrumi.
I vasi in ghisa che decorano i perimetri dei parterre del Giardino Ducale sono copie ottocentesche di vasi più antichi, in origine fusi in bronzo.
La scultura raffigurante Ulisse è stata realizzata da Giuliano Vangi nel 2008 e appartine alla produzione più recente del noto sculture. L'opera si compone di due blocchi di granito, scolpiti in modo tale che a seconda del punto di osservazione il soggetto muta: Ulisse, Penelope, i flutti del mare e un possente agglomerato di volumi scolpiti.
Il circuito delle mura dei Musei Reali, conservato per circa un chilometro nei Giardini, costituisce l'unico tratto delle antiche fortificazioni torinesi risparmiato dalle demolizioni napoleoniche. Quando nell'anno 1800 si decreta la demolizione delle fortificazioni, il tratto di mura a ridosso dei Giardini Bassi viene risparmiato insieme ai relativi spalti sottostanti, delimitati da nuovi viali alberati, riservati all'ampliamento del Jardin Imperial.
Negli anni Trenta dell'Ottocento, Carlo Alberto incarica l'architetto di corte Pelagio Palagi di apportare alcune modifiche ai giardini. È in questo periodo che il Giardino dei fiori, di impianto seicentesco, viene sostituito dal Boschetto, visibile ancora oggi.
Il Ginkgo biloba è una delle più antiche specie arboree viventi sulla Terra, dove è comparso oltre 250 milioni di anni fa. L'esemplare piantato nel Bastion Verde oltre 100 anni fa è alto 23 metri.
Sul punto in cui il profilo delle antiche mura si piega a formare il baluardo fortificato, sorge il Bastion Verde, un piccolo padiglione dal tetto spiovente alla francese, eretto alla fine del Cinquecento dall'architetto Ascanio Vitozzi e successivamente ampliato.
Al centro del Boschetto, l'artista Giulio Paolini ha realizzato nel 2017 l'istallazione Pietre preziose, a ricordo dell'incendio che venti anni prima aveva gravemente danneggiato la Cappella della Sindone, capolavoro seicentesco dell'architetto Guarino Guarini. La scultura si compone di alcuni frammenti della Cappella che non è stato possibile recuperare.
L'Albero delle lanterne cinesi, originario dell'estremo Oriente, produce una festosa fioritura, con piccoli fiori gialli che cadendo ricoprono il suolo del Bastion Verde come una pioggia dorata.
La storia del Giardino di Levante ha inizio a partire dal 1673, quando l'area dei giardini annessi alla reggia viene coinvolta nel processo di espansione e rinnovamento. Il progetto per la nuova sistemazione del complesso viene affidato nel 1697 da Vittorio Amedeo II all'architetto paesaggista francese André Le Nôtre, il geniale creatore dei giardini di Versailles.
Realizzata intorno alla metà del Settecento dal Regio Studio di scultura diretto da Simone Martinez, nipote del celebre architetto Filippo Juvarra, la grande fontana accoglie nella vasca circolare un gruppo di statue in marmo raffiguranti alcuni tritoni e una nereide, creature marine dotate di un corpo umano terminante in code di pesce, che nella mitologia greca componevano il corteo del dio del mare Poseidone.
Il faggio pendulo fu inserito nel giardino nella seconda metà dell'Ottocento ed è considerato uno dei più vecchi e maestosi esemplari presenti in Piemonte.
Il giardino della Cavallerizza presenta un impianto pentagonale, costruito sui bastioni cinquecenteschi della città di Torino: la sua geometria rigorosa è scandita da viali rettilinei, circondanti da alberi e siepi, che convergono verso un'antica vasca, da cui si irraggiano le diverse sezioni dell'area.
In questa sezione è possibile seguire in modo chiaro ed organico lo sviluppo dell’arte nel territorio piemontese dalla seconda metà del Quattrocento al Cinquecento.
L’ordinamento propone una sequenza cronologica, declinata su gruppi di artisti o su singoli maestri. Tavole e polittici a fondo oro di Martino Spanzotti, Defendente Ferrari, Macrino d’Alba, Pietro Grammorseo, Gaudenzio Ferrari, Bernardino Lanino e Gerolamo Giovenone permettono di addentrarsi nella vivace e particolare stagione artistica piemontese.
In queste sale sono esposte opere che documentano alcuni momenti chiave nella storia della pittura italiana, dal Tardo gotico al Rinascimento, ordinate per cronologia e per scuole.
Si segnalano, in ambito fiorentino, una Madonna con Bambino di Beato Angelico, L’Arcangelo Raffaele e Tobiolo dei fratelli Antonio e Piero del Pollaiolo e I Tre Arcangeli e Tobiolo di Filippino Lippi. Tra le opere di area veneta spiccano la Madonna con Bambino e santi di Andrea Mantegna e due teleri giovanili di Giovanni Bellini, raffiguranti la Nascita della Vergine e l’Annunciazione, mentre a rappresentanza della scuola rinascimentale di Brescia ci sono le adorazioni del Bambino di Giovanni Gerolamo Savoldo.
Queste sale sono dedicate alla pittura del secondo ‘500: tra le correnti meglio rappresentate nelle collezioni della Galleria Sabauda, emerge senz'altro il Manierismo Veneto.
Nutrito è il nucleo di opere commissionate da Carlo Emanuele I, che ordina a Jacopo Bassano, coadiuvato dai figli, tre grandi tele per l’arredo delle nuove sale del Palazzo Ducale, tra cui spicca Il Grande Mercato; Il sovrano chiama a corte anche Paolo Veronese, a cui vengono commissionate due grandi tele, che arricchiscono la sezione insieme ad un altro capolavoro del maestro, la Cena a casa di Simone Fariseo, arrivato a Torino attraverso l’acquisizione della collezione Durazzo. Dalla stessa raccolta arriva anche il magnifico Ritratto di Cassandra Cavalcanti Bandini del Bronzino.
Queste due sale sono dedicate alla fortuna del caravaggismo presso la corte sabauda.
Alle opere già raccolte da Carlo Emanuele I, tra le quali spiccano l’Annunciazione di Orazio Gentileschi e il San Gerolamo di Valentin de Boulogne, si sono nel tempo aggiunte opere provenienti dal territorio piemontese e da grandi collezioni private, come è il caso del Suonatore di Antiveduto Gramatica, che fu per un certo periodo attribuito a Caravaggio stesso.
Capolavori dei maestri piemontesi e lombardi di primo Seicento che godettero di grande fortuna tra Piemonte e Lombardia.
Nella collezione sono presenti opere di artisti legati alla Controriforma, come l’Abramo e i tre angeli del monferrino Guglielmo Caccia detto il Moncalvo, e altre come il San Francesco e il beato Carlo Borromeo del Cerano, artista lombardo legato agli ambienti del Cardinale Federico Borromeo. Cospicua è inoltre la presenza di dipinti di Francesco Cairo, pittore di corte di Vittorio Amedeo I e Cristina di Francia.
Nelle collezioni della Galleria ha un ruolo importantissimo il genere del ritratto, dipinto e scolpito.
Dei vari dipinti esposti in questa sala vale la pena di ricordare il Ritratto equestre di Carlo Alberto, di Horace Vernet, che nel 1834 impaginava questo imponente ritratto ufficiale del re di Sardegna secondo un modello che aveva già adoperato con successo per alcuni dei più importanti monarchi europei. Tra le sculture spicca per la qualità straordinaria della lavorazione del marmo il Ritratto del Cardinale Maurizio di Savoia François Duquesnoy (1635).
Fondamentali opere del classicismo seicentesco della scuola bolognese, provenienti da due importantissimi nuclei di dipinti: la raccolta del Cardinale Maurizio di Savoia e la quadreria del Principe Eugenio.
Dalla quadreria del Principe Eugenio, giunta a Torino dopo il 1741, provengono il San Giovanni Battista di Guido Reni. Altre opere esposte e di particolare importanza sono: L’elemento dell’acqua di Francesco Albani e le allegorie degli elementi naturali del Domenichino.
La Galleria vanta alcuni capolavori di maestri della pittura fiamminga del Seicento: Pieter Paul Rubens e Antoon van Dyck.
Per ragioni dinastiche e di rapporti con alcune delle principali corti europee, la Galleria può vantare alcuni capolavori di maestri della pittura fiamminga del Seicento, come il Ritratto del principe Tomaso di Savoia Carignano a cavallo di Van Dyck e I tre figli di Carlo I d’Inghilterra, dello stesso autore. Questi ritratti, insieme ad altri dipinti religiosi e profani dell’ambito di Rubens e Van Dyck, sono stati raggiunti in anni relativamente recenti dalla grande tela di Rubens con Ercole nel giardino delle Esperidi, a cui fa da pendant la Deianira tentata dalla Furia.
Un importante nucleo di opere di Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, copre alcune stagioni della carriera di questo importantissimo pittore barocco.
Il ritorno del figliol prodigo, caratterizzato dal taglio drammatico e forti accenti naturalistici esplicitamente caravaggeschi, è documentato nelle collezioni di casa Savoia già nel 1631. Fondamentali inoltre le due grandi pale eseguite a metà del seicento, la Madonna della benedizione e la Santa Francesca Romana.
Nelle vetrine del corridoio sono ospitate alcune opere preziose di artisti italiani e di piccolo formato. Si evidenziano le due piccole tavole del Beato Angelico.
Con il nuovo allestimento quest’ala del secondo piano ospita un importante raccolta di opere, provenienti da alcune delle più importanti collezioni della Galleria.
Tra queste c’è l’imponente collezione del Principe Eugenio di Savoia Soissons, giunta a Torino da Vienna a partire dal 1741. L’eccezionale quadreria del principe, riunita grazie a una fitta rete di contatti a Napoli, Roma, Milano, Bologna e, in ambito europeo, nelle Fiandre e in Olanda, vanta una magnifica selezione di opere dei più autorevoli maestri del classicismo seicentesco, come la Santa Margherita di Nicolas Poussin, oltre a importanti dipinti di artisti fiamminghi e olandesi come Giovane olandese alla finestra di Gerrit Dou, l’Inverno di Jan Griffier e I quattro tori di Paulus Potter.
Proseguendo la visita nelle altre sale vi è inoltre un altro importante nucleo di opere, acquisito nel corso dei secoli dai sovrani sabaudi, che offrono un ulteriore testimonianza delle scuole fiamminghe e olandesi tra il quattrocento e il seicento, tra cui si segnalano dipinti notevoli come Le Stimmate di San Francesco di Jan Van Eyck, i due pannelli di Rogier van der Weyden con Un devoto in orazione e La Visitazione, le Scene della passione di Cristo di Hans Memling e il Vecchio dormiente di Rembrandt.
Uscendo dalle sale dedicate alla pittura nordica, il percorso prosegue con le opere appartenenti a scuole italiane del Seicento che illustrano le scelte collezionistiche compiute dai duchi sabaudi per accrescere la loro già prestigiosa raccolta e i successivi arricchimenti ottocenteschi. La sala successiva è dedicata alla cultura artistica del ducato sabaudo, segnata nel Seicento da un importante rinnovamento illustrato dalle opere di alcuni dei maggiori protagonisti della scena artistica piemontese, mentre la sala conclusiva del percorso di visita è dedicata alla pittura al femminile tra Cinquecento e Seicento, epoca in cui le artiste occupano un ruolo significativo e del tutto eccezionale, ancora in gran parte da svelare. È qui esposto il Ritratto dell’Infanta Isabella Clara Eugenia, sorella della duchessa di Savoia Caterina Micaela, eseguito da Sofonisba Anguissola, che per molti anni fu al servizio del re di Spagna Filippo II raggiungendo nel campo della ritrattistica una fama di livello europeo.
In questa sala sono esposte le grandi tele commissionate intorno al 1725 da Vittorio Amedeo II al pittore veneto Sebastiano Ricci attraverso la mediazione di Filippo Juvarra. Il Mosé fa scaturire l’acqua dalla roccia, dall’impianto corale e spettacolare è realizzato molto verosimilmente con l’aiuto del nipote Marco, paesaggista e scenografo, incaricato tra l’altro dallo stesso Juvarra di un lavoro di decorazione al castello di Rivoli.Il probabile aiuto del nipote è rintracciabile inoltre in un’altra delle tele realizzate in quegli anni per la corte sabauda, ovvero il Re Salomone adora gli idoli, opera legata alla tradizione veneta del Cinquecento e in particolare ai lavori di Paolo Veronese. È esposta in questa stessa sala anche la grande tela giovanile del Tiepolo, Il trionfo di Aureliano, a sua volta intrisa di cultura scenografica e melodrammatica.
In queste sale si può seguire l'evoluzione degli stili e dei generi della pittura in Italia nel corso del XVIII secolo.
Si comincia con le vedute di Gaspar van Wittel dal soggetto immediatamente riconoscibile, come Il Colosseo, chiudiamo con le vedute di Bernardo Bellotto, realizzate nel 1745 a Torino per la corte di Carlo Emanuele III: ci riguarda da vicino la Veduta di Torino dal lato dei Giardini Reali. Il re aveva acquistato a Bologna la tela di Giuseppe Maria Crespi con San Giovanni Nepomuceno confessa la regina di Boemia, che sembra recuperare le ombre del Seicento. È invece un acquisto recentissimo Il ritratto dell’abate Felice Ramelli di Pierre Subleyras, uno dei ritrattisti più celebrati del Settecento.
In queste sale è presente la raccolta di opere d'arte che Riccardo Gualino, industriale, finanziere, mecenate e collezionista piemontese, cedette allo Stato Italiano nel 1930.
Se tra le opere di pittura vanno ricordate la Madonna con il Bambino di Duccio di Buoninsegna (1280-1285) e la Venere (1485-1490) del Botticelli, tra le opere di oreficeria spiccano gli orecchini con pendente a forma di volatile, risalenti al III-II sec. a.C, provenienti probabilmente dalle colonie greche sul Mar Nero.
Il grande salone, alto quasi 13 metri, che apre la visita al Palazzo Reale di Torino ospitò per secoli le Guardie Svizzere a protezione dell'edificio. Utilizzata spesso come sala delle feste, presenta una complessa decorazione: il fregio, dipinto nel 1649 dalla Bottega dei Fratelli Fea, rappresenta le Glorie Sassoni.
Al termine delle tre anticamere di rappresentanza, la Sala del Trono è il fulcro simbolico del piano nobile di Palazzo Reale. La sua organizzazione è frutto dell'intervento ottocentesco di Pelagio Palagi, nonostante vi si trovino arredi e decorazioni precedenti.
adibita originariamente a Camera da Letto della Duchessa, la sala è arredata con preziosi mobili in stile eclettico disegnati da Pelagio Palagi. Il nome attuale deriva dal Consiglio dei Ministri, che vi si riuniva a partire dal regno di Carlo Alberto nella prima metà dell'Ottocento.
La sala conserva intatto l'assetto settecentesco, progettato dal messinese Filippo Juvarra e portato a termine dal successore Benedetto Alfieri. Le pareti sono rivestite da una raffinata boiserie in stile rococò, che incornicia alcune lacche orientali acquistate sul mercato romano nel 1732.
Sul finire del Seicento l'architetto Emanuele Lanfranchi progettò l'impianto degli appartamenti nuziali di Vittorio Amedeo II e Anna d'Orléans. La galleria, che univa le camere da letto dei duchi, prende il nome dal pittore Daniel Saiter che decorò la volta. Il grande affresco celebra al centro L'apoteosi di Vittorio Amedeo II, accolto da Giove nell'Olimpo. La Galleria del Daniel venne utilizzata dalla corte per i ricevimenti e per i balli fino alla prima metà dell'Ottocento, quando Carlo Alberto modificò la funzione degli ambienti del Palazzo Reale.
La sala è il risultato dell'unione di due anticamere avvenuta durante i lavori diretti da Pelagio Palagi nella prima metà dell'Ottocento. La grande tavola apparecchiata è decorata al centro con dei candelieri di gusto neobarocco mentre le sedute provengono dal Palazzo Reale di Genova.
Sala dell’Alcova è quella che maggiormente conserva l’originaria decorazione seicentesca, commissionata a Carlo Morello in occasione delle nozze del duca Carlo Emanuele II con Francesca d’Orléans (1663), entrambi ricordati dai monogrammi in marmo sotto alle finestre. L’origine francese della duchessa è celebrata nella tela al centro del soffitto (Clodoveo riceve lo scudo con l’insegna del giglio di Jan Miel, 1662-1663) e nel fregio, eseguito da pittori vari, con ripetuti richiami al fiore del giglio. Il fastigio, sorretto da cariatidi gravide benauguranti per la coppia ducale, introduceva al talamo nuziale. Al centro della decorazione, in alto, Maria Clotilde di Borbone - Francia, moglie di Carlo Emanuele IV. Le sovrapporte con soggetti biblici, si devono al pittore veneto Sebastiano Ricci (1727-28). Nel Settecento l’ambiente fu trasformato in piccola Sala da Ballo per Carlo Emanuele III e successivamente anche utilizzato per ricevimenti di corte. Durante l’età di Carlo Alberto, la sala fu arricchita con la preziosa collezione di vasi orientali, esposti su étagère laccate. Alle pareti, il ritratto di Maria Teresa d’Asburgo-Lorena, moglie di Carlo Alberto, opera di Pietro Benvenuti e una copia dei Figli di Carlo I Stuart, la celebre tela di Anton van Dyck ora esposta nella Galleria Sabauda.
Al termine del percorso di visita, come una sorta di tempio neoclassico nel cuore dell'edificio barocco, la Sala da Ballo fu progettata negli anni quaranta dell'Ottocento da Pelagio Palagi per ospitare i ricevimenti della corte.
La scala venne realizzata in occasione del matrimonio del principe ereditario Carlo Emanuele (futuro Carlo Emanuele III) con Anna Cristina di Baviera Sulzbach (1722), per consentire un accesso aulico al sontuoso appartamento nuziale predisposto al secondo piano del Palazzo, sostituendo una preesistente scala lignea ormai inadeguata. Progettata e realizzata nel 1720 dall’architetto Filippo Juvarra, presenta un impianto architettonico “a tenaglia” che scarica il peso sulle pareti perimetrali, ed una rampa superiore centrale libera da sostegni e sorretta solo dagli archi trasversali dei pianerottoli. Un progetto di ardita immaginazione, che supera le difficoltà strutturali costituite dallo spazio estremamente ridotto e dal notevole dislivello tra il primo e il secondo piano, riuscendo a mantenere le aperture delle finestre verso il cortile. La raffinata decorazione plastica in stucco, con il suo delicato repertorio figurativo di corolle fiorite, conchiglie, volute e cartigli, enfatizza gli effetti di luce accentuando la monumentalità dell’ambiente, ulteriormente arricchito dall’armoniosa ringhiera in ferro battuto. L’attuale denominazione deriva dal curioso ovale collocato da Juvarra in corrispondenza dell’imposta della volta sospesa, dove un paio di forbici taglia le due trecce laterali incrociate a simulare una lingua biforcuta. Un’ironica allusione, si dice, al genio juvarriano che “taglia” le malelingue dei cortigiani che avevano ritenuto il progetto irrealizzabile.
Al centro della sala spicca una testa rinvenuta il 23 agosto 1901 fra il materiale che riempiva un antico pozzo messo in luce durante la costruzione ddi un edificio, in un'area centrale della città romana.
Il giovane uomo raffigurato è acconciato secondo uno stile che suggerisce una datazione ad età augusteo tiberiana (25 a.C.-35 d.C. circa). È probabile che raffiguri un membro dell’aristocrazia locale che imita aspetto e acconciatura degli uomini della famiglia imperiale, non identificandosi con certezza con nessuno di loro. Altri frammenti di grandi statue in bronzo provengono dagli scavi del teatro romano e dal rinvenimento casuale del 1577, durante la costruzione della chiesa dei SS. Martiri, fra via Botero e via Garibaldi dei due soli frammenti di statua equestre recuperati a Torino.
Gli scavi condotti nel 1991-1992 nell’area dei Giardini Reali hanno messo in luce un cospicuo scarico di frammenti di mantelli di fusione, cioè gli involucri in argilla impiegati per la realizzazione delle statue in bronzo: un rinvenimento senza confronti nel mondo romano per quantità e qualità dei reperti, prova che ad Augusta Taurinorum esistevano officine specializzate e fa ipotizzare che i resti di statue scoperti in città siano di produzione locale.
Il territorio dove attualmente sorge la città metropolitana di Torino è stato popolato fin dal Neolitico (5.750-3.400 a.C.).
Tra i reperti più significativi c'è un vaso carenato, l’unica testimonianza per l’età del Rame, trovato nella zona dove attualmente sorge il Cimitero generale; per l’età del Ferro possiamo vantare un elmo di bronzo – proprio dal nostro esemplare questa tipologia prende il nome di “tipo Torino” –: fu trovato in corso Belgio in corrispondenza di un’antica ansa della Dora. Sempre all’età del Ferro risale un gruppo di materiali provenienti dagli scavi del villaggio taurino del Bric San Vito di Pecetto.
Una scelta delle migliaia di reperti rinvenuti in recenti scavi nei pressi delle mura romane, studiati e restaurati, è raggruppata per diverse tipologie in due grandi vetrine scenografiche.
Questi cumuli di vasellame da mensa e dispensa, lucerne, anfore, materiali da costruzione e per la produzione di grandi statue, resti di pasto, tra cui ossa di animali, ricostruiscono idealmente le grandi discariche organizzate che si trovavano ai lati delle mura stesse. Inoltre sono forse proprio la traccia di un rito celebrato in occasione della fine della costruzione di queste strutture protettive le quattro anfore datate al 50-75 d.C., trovate nel 2000, infisse nel terreno negli scavi di Piazza Castello.
Da storici rinvenimenti e recenti indagini archeologiche i materiali esposti concorrono a raccontare le abitudini e i modi di vivere degli abitanti della città romana.
Si va dalle abitazioni più ricche, come la domus di via Bonelli con il bel pavimento a mosaico, alle più comuni, come l’abitazione scoperta fuori le mura, nell’area dell’attuale Piazza San Carlo.
Da storici rinvenimenti e recenti indagini archeologiche i materiali esposti concorrono a raccontare le abitudini e i modi di vivere degli abitanti della città romana.
Si va dalle abitazioni più ricche, come la domus di via Bonelli con il bel pavimento a mosaico, alle più comuni, come l’abitazione scoperta fuori le mura, nell’area dell’attuale Piazza San Carlo
Reperti, ricostruzioni, rilievi e epigrafi documentano i monumenti funerari e le credenze oltre la vita dei cittadini di Augusta Taurinorum.
A documentare usi e riti funerari per tutto il corso dell’età imperiale, sono esposte epigrafi, corredi funerari e le ricostruzioni di due grandi tombe: quella ipotetica di un imponente monumento funebre decorato a rilievo con un fregio di armi, probabilmente la sepoltura di un importante personaggio di Augusta Taurinorum (40-55 d.C.) e quella, basata sulla documentazione di scavo, di due coniugi sepolti in una grande tomba a camera di via del Deposito (metà II sec. - primi decenni III sec. d.C.)
Tra le testimonianze che risalgono al Ducato Longobardo di Torino (VIVIII sec. d.C.), spicca il corredo della cosiddetta Dama del Lingotto, ricco di una straordinaria parure di gioielli, e rinvenuto nel 1910 in quella che oggi è via Nizza.
In questa sala si affianca ai recenti cospicui rinvenimenti di Collegno che hanno portato in luce alcune tombe di una famiglia aristocratica gota, una grande necropoli longobarda con più di 150 tombe e resti delle capanne di un villaggio dove è documentato l’avvicendamento dei due popoli.
I marmi della cattedrale, il tardo medioevo e l'età moderna.
Si trova esposto il gruppo di marmi del complesso episcopale, rinnovato tra la seconda metà dell’VIII secolo e la prima metà del IX; riutilizzati e dispersi dopo la ricostruzione delle chiese nell’XI secolo, sono stati recuperati in tempi diversi. Nelle vetrine sono presentati i vetri e le ceramiche utilizzati sulle mense torinesi tra tardo medioevo e inizio età moderna. Eccezionale il rinvenimento durante lo scavo per la ripavimentazione della piazza san Giovanni, nell’area a nord del Duomo, di un tesoro di più di 7000 monete, occultato tra il 1536 e il 1538 nei tumultuosi primi anni dell’occupazione francese.
Il Tesoro fu rinvenuto casualmente nel 1928 durante lavori agricoli presso la cascina Pederbona, a Marengo in provincia di Alessandria. Era stato probabilmente sepolto in seguito a un saccheggio.
Oltre alla splendido busto dell’imperatore Lucio Vero (161-169), spiccano l’iscrizione con dedica alla Fortuna Melior, preziosi rivestimenti di arredo tra cui un capitello ornamentale, una fascia decorata con figure di divinità, il pulvino di un letto, una testina femminile di divinità, un medaglione con busto maschile e laminette simboleggianti segni zodiacali.
Dagli scavi della città romana di Industria, oggi Monteu da Po, nella città metropolitana di Torino, i più antichi in Piemonte, proviene una straordinaria quantità di bronzi di grande importanza.
Tra questi, numerose statuine di Iside-Fortuna, di Arpocrate, di tori e altri animali sacri che richiamano al culto orientale di Iside e Serapide. Tra le opere più note e raffinate, un tripode pieghevole decorato da figure, due applique femminili di sacerdotessa e danzatrice velata, un sistro (strumento sacro a Iside). La lastra bronzea che riporta la dedica al collegio dei pastophoroi (sacerdoti di Iside) ricorda il nome della città. Il noto Sileno, un originale greco di qualità straordinaria, attribuito a un’officina ellenistico-pergamena (II secolo a.C.) è ora esposto nella Sezione di Archeologia a Torino.
In questo settore si possono ammirare, dall’alto a scendere, vasellame invetriato di età rinascimentale dagli scavi archeologici del Monastero della Visitazione di Vercelli e della Ministreria dei Poveri di Novara, armi e altri reperti che testimoniano la vita di luoghi fortificati come il Bric San Vito di Pecetto e il Castello di Montaldo di Mondovì.
Inoltre vi sono importanti ritrovamenti da luoghi sacri come l’abbazia di Fruttuaria, fondata nel 1003 da Guglielmo da Volpiano, da cui proviene un prezioso frammento di vetrata raffigurante un volto maschile barbato. Al periodo dell’occupazione longobarda (VI-VIII secolo) si data l’ingente numero di oggetti provenienti dalla necropoli di Testona di Moncalieri, da cui provengono i ricchi corredi d’armi e il vasellame decorato “a stampiglia”; tra gli altri materiali longobardi spicca per importanza e unicità la croce aurea di Agilulfo, duca di Torino alla fine del VI secolo.
I reperti dai corredi tombali e dagli abitati forniscono un quadro della vita di alcune delle prime città romane del Piemonte, esito di precedenti centri indigeni (Vercelli) o nuove fondazioni (Ivrea).
Il ruolo occupato nella società romana dalla religione è documentato dalle numerose iscrizioni e dai rilievi sulle are, spesso dedicate a divinità locali, come le “Matrone”. La prosperità dei municipi romani in età imperiale è testimoniata da vasellame di pregio e da prodotti di lusso importati: coppe in vetro mosaicato policromo, bicchieri e tazze soffiati entro stampo bivalve, una straordinaria coppa in vetro verde con pernici sovradipinte. Degni di nota anche i prodotti delle manifatture vetrarie dell’Italia settentrionale come i balsamari a forma di colomba, tra cui la nota colombina da Rovasenda (VC) ancora piena dell’originale contenuto.
Per ciò che concerne i ritrovamenti di cultura celtica nel Piemonte dell’Età del Ferro (IX-II sec. a.C.), sono esposti prestigiosi reperti che attestano la presenza etrusca, come la stele di Busca, e i rapporti tra aristocrazie, come il grande bacile orientalizzante in bronzo da Castelletto Ticino.
I siti dell’Età del Bronzo (2200-900 a.C.), tra cui gli insediamenti palafitticoli di Viverone e Mercurago, inseriti tra i siti Unesco, e del Neolitico, testimoni della più antica presenza umana stabile in Piemonte, e infine le tracce degli spostamenti stagionali di gruppi umani nel Mesolitico e nel Paleolitico con tracce della presenza dell’uomo di Neanderthal sono esposti nella parte finale del Padiglione.